Le origini delle Società di mutuo soccorso
Le Società di Mutuo Soccorso ebbero un modello storico probabilmente derivato dai "collegia opificum" (associazioni di artigiani) della Roma antica, le quali rappresentarono una forma intelligente di organizzazione proletaria per affrontare i disagi dovuti a malattie, invalidità, guerre, povertà e vecchiaia, e costituirono nel contempo una protezione per diverse categorie professionali, esercenti in epoca imperiale, prima del declino barbarico. Quando la società romana mutò il suo assetto costitutivo, dividendo i cives (residenti dei grandi centri urbani) dai vici (residenti delle campagne e delle aree periferiche), e lo sviluppo dell'economia cambiò la struttura delle organizzazioni, ai collegi si affiancarono le corporazioni, le congregazioni, le università e le scuole. Queste spontanee associazioni di uomini ebbero successo presso il popolo per molti secoli, fino alla nascita delle corporazioni di tipo medioevale, create da artigiani e commercianti per la difesa degli interessi delle loro categorie.
Le società nel Settecento
Le società di mutuo soccorso sono nate, alla fine del 1700, come associazioni volontarie con lo scopo di migliorare le condizioni materiali e morali dei ceti lavoratori. Tali società si fondavano sulla mutualità, sulla solidarietà ed erano strettamente legate al territorio in cui nascevano. La spinta alla loro nascita venne da una progressiva presa di coscienza da parte delle masse lavoratrici della propria condizione di sfruttamento e della ricerca in se stesse, prima ancora che nelle istituzioni politiche, della forza e degli strumenti necessari per fare fronte al loro precario stato.
La Società di Mutuo Soccorso si fonda sull'unione delle forze per raggiungere obiettivi di promozione economica e sociale, sulla responsabilità di gruppo nei confronti del comune destino di lavoro, sul senso della dignità e del protagonismo civile.
La Società di Mutuo Soccorso si fonda sull'unione delle forze per raggiungere obiettivi di promozione economica e sociale, sulla responsabilità di gruppo nei confronti del comune destino di lavoro, sul senso della dignità e del protagonismo civile.
Le prime forme assistenziali
Largo spazio, nell'ambiente caritativo ecclesiastico, trovarono le prime forme assistenziali. Diffusi erano, nel XVI secolo, gli ospedali, ricoveri, ospizi per pellegrini gestiti direttamente da religiosi in collaborazione con laici. Il "soccorso agli altri" era vissuto come parte della sfera morale di ognuno, quasi un obbligo per chi voleva espiare i propri peccati. Le prestazioni venivano erogate a chiunque, sia valido che invalido, e, in quest'ottica, ciò che contava era l'elemosina in sé, non a chi veniva erogata. Il XVI secolo conobbe anche l'azione delle chiese riformate che, invitando la Chiesa a concentrarsi sulla grazia e sulla fede e non più sulle opere, costrinse i monasteri alla chiusura e la beneficenza a laicizzarsi. Accanto all'azione delle chiese riformate si diffuse il Giusnaturalismo che, teorizzando l'esistenza di un diritto naturale, staccava il discorso da ogni legame morale e religioso per teorizzare il diritto del povero ad essere mantenuto, sia pure in termini minimi, dalla comunità.
A questi mutamenti filosofici e religiosi , si aggiungono le continue guerre, le carestie e, soprattutto, la nascita delle moderne manifatture che spinse a una crescente salarizzazione della mano d'opera, accrescendo il numero dei disoccupati. Tutto ciò portò alla nascita di una realtà assistenziale laica, slegata dal momento religioso. Attorno al 1738 nasceva una Unione Pia Tipografica con scopi di mutuo soccorso mentre nello stesso anno nasceva a Venezia una società di mutuo soccorso fra compositori. I primi segni storici di una "economia sociale" nascono come iniziative di una certa borghesia illuminata e "interessata" alla fine del 1700: nel 1778, alla Accademia delle scienze di Torino, al concorso indetto sul "modo di provvedere agli operai che lavorano nelle seterie quando vi fosse penuria di seta", la proposta vincente fu quella di costituire, in caso di crisi, casse alimentate dai contributi dei datori di lavoro o dei lavoratori stessi.
A questi mutamenti filosofici e religiosi , si aggiungono le continue guerre, le carestie e, soprattutto, la nascita delle moderne manifatture che spinse a una crescente salarizzazione della mano d'opera, accrescendo il numero dei disoccupati. Tutto ciò portò alla nascita di una realtà assistenziale laica, slegata dal momento religioso. Attorno al 1738 nasceva una Unione Pia Tipografica con scopi di mutuo soccorso mentre nello stesso anno nasceva a Venezia una società di mutuo soccorso fra compositori. I primi segni storici di una "economia sociale" nascono come iniziative di una certa borghesia illuminata e "interessata" alla fine del 1700: nel 1778, alla Accademia delle scienze di Torino, al concorso indetto sul "modo di provvedere agli operai che lavorano nelle seterie quando vi fosse penuria di seta", la proposta vincente fu quella di costituire, in caso di crisi, casse alimentate dai contributi dei datori di lavoro o dei lavoratori stessi.
L'Ottocento
Nel 1804 nasceva a Milano il Pio Istituto Tipografico per affrontare le malattie croniche e le sospensioni dal lavoro. A Nizza, nel 1828, gli operai organizzarono una mutua per affrontare i temi della malattia, della vecchiaia. Nel 1844, alla posizione dello stesso Re Carlo Alberto che sosteneva la necessità di casse di beneficenza e carità fra gli operai, sostenute con i loro contributi, e che disimpegnava lo Stato da ogni aspetto della vita sociale, coesistevano atteggiamenti favorevoli ad un diretto intervento statuale nelle questioni sociali. A questi temi si affiancava la posizione della borghesia italiana che vedeva nella mutualità e nel volontariato la via per affrontare i drammatici problemi sociali del paese. Ad aprire le porte alla stagione mutualistica vera e propria concorsero, a metà del 1800, alcuni avvenimenti: 1) saliva nel 1848 alla soglia pontificia il Cardinale Mastai Ferretti con il nome di Pio IX; 2) cadeva sotto i colpi della rivoluzione popolare la Monarchia di Luigi Filippo; 3) Marx dava alle stampe il Manifesto del Partito Comunista; 4) veniva promulgato lo Statuto albertino che affermava il diritto all'inviolabilità del domicilio, l'inviolabilità del diritto di proprietà e, soprattutto, all'art. 32, riconosceva "il diritto ad adunarsi pacificamente e senz'armi, uniformandosi alle leggi che possono regolarne l'esercizio nell'interesse della cosa pubblica". 5) venivano abrogati gli articoli del codice penale limitanti la libertà di associazione.
Nel 1844 in Piemonte scomparirono le corporazioni a causa dei vincoli che esse ponevano ad ogni ipotesi di libero commercio (incompatibilità con ideologia liberista) e nel 1848 sull'onda delle libertà concesse dallo Statuto albertino, delle trasformazioni economiche e dei nuovi sviluppi industriali, che misero in difficoltà i mestieri e le lavorazioni tradizionali,e per fare fronte all'assenza di una legislazione sociale e all'indebolimento del tradizionale potere ecclesiastico, in seguito alle leggi Siccardi del 1850, i lavoratori urbani si riunirono nel ricordo passato delle cooperazioni d'arte e di mestiere, dando il via ad un fiorire di decine di società operaie di mutuo soccorso. A metà del 1800 nacque a Torino la Pia Unione dei lavoratori cappellai, la Società tra cocchieri e palafrenieri, la Mutua Società di parrucchieri, l'Unione dei tessitori di seta, oro, argento alle quali seguirono altre ancora. I punti su cui si fondavano le SOMS erano la mutualità, la solidarietà fra i lavoratori, l'autogestione dei fondi sociali e la questione della moralità. Era infatti frequente trovare negli Statuti norme che vietavano l'elargizione di sussidi nell'ipotesi in cui le malattie erano causate dall'abuso di vini e liquori, o che vietano ai soci di praticare taluni giochi come il lotto o il gioco d'azzardo.
Nel 1844 in Piemonte scomparirono le corporazioni a causa dei vincoli che esse ponevano ad ogni ipotesi di libero commercio (incompatibilità con ideologia liberista) e nel 1848 sull'onda delle libertà concesse dallo Statuto albertino, delle trasformazioni economiche e dei nuovi sviluppi industriali, che misero in difficoltà i mestieri e le lavorazioni tradizionali,e per fare fronte all'assenza di una legislazione sociale e all'indebolimento del tradizionale potere ecclesiastico, in seguito alle leggi Siccardi del 1850, i lavoratori urbani si riunirono nel ricordo passato delle cooperazioni d'arte e di mestiere, dando il via ad un fiorire di decine di società operaie di mutuo soccorso. A metà del 1800 nacque a Torino la Pia Unione dei lavoratori cappellai, la Società tra cocchieri e palafrenieri, la Mutua Società di parrucchieri, l'Unione dei tessitori di seta, oro, argento alle quali seguirono altre ancora. I punti su cui si fondavano le SOMS erano la mutualità, la solidarietà fra i lavoratori, l'autogestione dei fondi sociali e la questione della moralità. Era infatti frequente trovare negli Statuti norme che vietavano l'elargizione di sussidi nell'ipotesi in cui le malattie erano causate dall'abuso di vini e liquori, o che vietano ai soci di praticare taluni giochi come il lotto o il gioco d'azzardo.
Il decennio pre-unitario
La presa di coscienza della mutualità in queste forme di associazionismo del decennio pre-unitario determinò la scomparsa di alcuni tratti tipici della fase mutualistica-corporativa dei primi anni del 1800, in cui erano presenti elementi caritativi. Ci si avviò sempre di più verso la scomparsa del particolarismo di mestiere e della figura del socio protettore. Fra i principali obiettivi delle società di mutuo soccorso vi erano l'istruzione, il mutualismo in caso di infermità e la previdenza. La Società Operaia di Oneglia creò un gabinetto di lettura ed una scuola di disegno per i figli dei soci; quella di Sanremo creò importanti scuole serali. Ad Asti nel 1853 si costituirono scuole domenicali e serali, s'impose l'obbligo della presenza e si firmò una petizione al Governo per estendere la scuola elementare e premiare quei padri di famiglia che la facessero frequentare ai loro figli. Spesso queste società predisponevano vere e proprie tabelle sulla frequenza con cui talune malattie colpivano i soci; la mutua si basava sul principio della comunione dei rischi possibili (malattia, invalidità, infortunio, disoccupazione) o futuri (vecchiaia, morte). Gli oneri inerenti agli eventuali bisogni dei singoli venivano ripartiti fra tutti gli associati e il diritto alle prestazioni sorgeva automaticamente quando ne ricorressero e se ne accertassero le condizioni.
Agli affiliati era chiesto il regolare versamento di una quota del salario in rapporto alla prestazione garantita. L'obbligo di un contributo fisso era una condizione non semplice da rispettare, data l'esiguità dei salari, ma che educava alla parsimonia. Nelle corporazioni la tutela degli interessi di lavoro giungeva a coprire taluni interessi "familiari", in esse non c'era né l'obbligo contributivo fisso, in rapporto a prestazioni obbligatorie, né un diritto autonomo al soccorso. Nelle corporazioni le somme erano distribuite sulla base della capacità del fondo e di valutazioni discrezionali; mancava una riserva finanziaria e le somme raccolte annualmente venivano spese e distribuite ai soci. Lo schema mutualistico prevedeva, invece, un fondo autonomo costituito da contributi obbligatori ed aveva un suo schema: "ripartizione per malattie, capitalizzazione per sussidi di invalidità e di vecchiaia". Nelle società di mutuo soccorso della metà del 1800 si tendeva ad "escludere sempre la carità e fin dove possibile l'elargizione filantropica".
Nel 1859 l'intervento statale che portò alla Legge del 30 settembre sulla rendita vitalizia per la vecchiaia, fondata su base strettente volontaria, e alla legge del 20 novembre 1859 sugli Istituti di beneficenza restringeva ogni ipotesi di intervento delle SOMS nell'ambito caritativo. Gli statuti delle Società di mutuo soccorso si proposero così anche altri scopi accanto a quelli tradizionali: il sostegno creditizio agli associati, la fornitura di materie prime, la vendita ai soci di prodotti di prima necessità al prezzo di costo, la costituzione di magazzini sociali. In questi obiettivi, che spesso erano legati alla difesa di interessi di categoria, era possibile individuare l'embrione della cooperazione. Nel 1854 si costituiva a Torino, per iniziativa dell'Associazione Generale degli Operai (società di mutuo soccorso), la prima cooperativa di consumo, sotto forma di un comitato di previdenza. Due anni dopo, nel 1856, a Savona si ripeteva la medesima esperienza e nasceva la prima cooperativa di produzione tra i lavoratori locali dell'arte vetraria; cooperativa che dette vita, in un momento successivo, ad una società di mutuo soccorso tra i lavoratori vetrai. Sul piano del credito, ad un Congresso fra le società di mutuo soccorso liguri, a Novi Ligure, si discusse sul tema della valutazione del lavoro come proprietà e sulla possibilità di costituire casse di risparmio per concedere denaro a basso costo e per costituire rendite per la vecchiaia. Queste nuove forme di associazionismo nascevano spesso collegate alle società di mutuo soccorso.
Agli affiliati era chiesto il regolare versamento di una quota del salario in rapporto alla prestazione garantita. L'obbligo di un contributo fisso era una condizione non semplice da rispettare, data l'esiguità dei salari, ma che educava alla parsimonia. Nelle corporazioni la tutela degli interessi di lavoro giungeva a coprire taluni interessi "familiari", in esse non c'era né l'obbligo contributivo fisso, in rapporto a prestazioni obbligatorie, né un diritto autonomo al soccorso. Nelle corporazioni le somme erano distribuite sulla base della capacità del fondo e di valutazioni discrezionali; mancava una riserva finanziaria e le somme raccolte annualmente venivano spese e distribuite ai soci. Lo schema mutualistico prevedeva, invece, un fondo autonomo costituito da contributi obbligatori ed aveva un suo schema: "ripartizione per malattie, capitalizzazione per sussidi di invalidità e di vecchiaia". Nelle società di mutuo soccorso della metà del 1800 si tendeva ad "escludere sempre la carità e fin dove possibile l'elargizione filantropica".
Nel 1859 l'intervento statale che portò alla Legge del 30 settembre sulla rendita vitalizia per la vecchiaia, fondata su base strettente volontaria, e alla legge del 20 novembre 1859 sugli Istituti di beneficenza restringeva ogni ipotesi di intervento delle SOMS nell'ambito caritativo. Gli statuti delle Società di mutuo soccorso si proposero così anche altri scopi accanto a quelli tradizionali: il sostegno creditizio agli associati, la fornitura di materie prime, la vendita ai soci di prodotti di prima necessità al prezzo di costo, la costituzione di magazzini sociali. In questi obiettivi, che spesso erano legati alla difesa di interessi di categoria, era possibile individuare l'embrione della cooperazione. Nel 1854 si costituiva a Torino, per iniziativa dell'Associazione Generale degli Operai (società di mutuo soccorso), la prima cooperativa di consumo, sotto forma di un comitato di previdenza. Due anni dopo, nel 1856, a Savona si ripeteva la medesima esperienza e nasceva la prima cooperativa di produzione tra i lavoratori locali dell'arte vetraria; cooperativa che dette vita, in un momento successivo, ad una società di mutuo soccorso tra i lavoratori vetrai. Sul piano del credito, ad un Congresso fra le società di mutuo soccorso liguri, a Novi Ligure, si discusse sul tema della valutazione del lavoro come proprietà e sulla possibilità di costituire casse di risparmio per concedere denaro a basso costo e per costituire rendite per la vecchiaia. Queste nuove forme di associazionismo nascevano spesso collegate alle società di mutuo soccorso.
Giuseppe Mazzini
Uno dei padri del movimento solidaristico-mutualistico del nostro paese può essere considerato Giuseppe Mazzini. Le idee mazziniane rappresentarono un veicolo di grande importanza nella diffusione in Italia dei valori e degli ideali cooperativi e influenzarono moltissimo la nascita di alcune società di mutuo soccorso. Mazzini incitava ad unirsi "fra gente di uno stesso mestiere per dare vita a coraggiose cooperative", raccomandava di associarsi e "tassarsi anche di una modesta quota per creare casse di previdenza e di assistenza".
In Liguria (a Sampierdarena-Genova, per esempio), la progressiva industrializzazione e gli sviluppi della società operaia incontrarono l'associazione mazziniana, solidale e fraterna con il mondo del lavoro, che dette vita nel 1851 alla Società Generali Operai e altre associazioni di mestiere (falegnami, carpentieri; indoratori, muratori, calzolai, parrucchieri). Le società di mutuo soccorso che si rifecero agli ideali mazziniani assunsero in modo molto più chiaro di altre un atteggiamento fuori da ogni compromesso nei confronti dei gravi problemi politici e sociali dell'epoca e videro nell'unità e nell'indipendenza le premesse necessarie per risolvere in modo concreto ed efficace il futuro assetto sociale. Se, infatti, le società nate nel Piemonte moderato e sabaudo erano, nella quasi totalità, emanazioni paternalistiche, sorte con l'appoggio delle autorità o di esponenti borghesi estranei al mondo del lavoro e ad ogni rivendicazione politica, quelle liguri manifestarono subito un chiaro interesse per la politica del Governo e rappresentarono una forza per l'organizzazione democratica e per tutti coloro che vedevano nell'iniziativa popolare la soluzione del problema nazionale.
Caratteristiche in larga parte comuni alle 115 società operaie presenti nel Piemonte sabaudo alla vigilia dell'unificazione e alle rimanenti 91, concentrate nelle regioni settentrionali della penisola (in Lombardia, Liguria, Emilia e Veneto) erano la localizzazione urbana, la forte coesione professionale e la neutralità politica. Queste caratteristiche mutarono dopo l'unificazione. I moti risorgimentali aprirono infatti una frattura tra le società operaie che si ispirarono ai principi solidaristici e democratici di Mazzini a quelle che aderirono al programma dei moderati, guidate e in parte sostenute finanziariamente da vecchi e nuovi filantropi, esponenti dei ceti nobiliari e della grande borghesia terriera e finanziaria, interessati ad un controllo paternalistico delle classi lavoratrici. Questo si complicò con la costituzione a Londra nel 1864 della prima associazione internazionale dei lavoratori sotto l'influenza di Marx . Nel 1864 venne pubblicata ad opera del Ministero dell'agricoltura, industria e commercio la prima statistica postunitaria delle società di mutuo soccorso aggiornata al 31 dicembre 1862. L'indagine rilevò la presenza di 443 società operaie concentrate in Piemonte, Liguria, Emilia, Lombardia al nord, Toscana Umbria al centro. Le 408 società che fornirono al Ministero il numero degli aderenti contarono 111.608 soci effettivi. Il Comune di Milano contò 38 società operaie alle quali aderivano 9923 soci, Torino 13, con 14.864 associati. Inoltre, 267 società erano aperte a tutte le professioni e i mestieri, mentre 155 erano costituite sulla base di un'unica professione. La statistica evidenziò la maggior diffusione nelle regioni dove più elevata era la densità di centri; urbani. L'intensa diffusione di tali società nelle grandi città del Nord rifletteva la peculiare condizione dei larghi strati operai e artigiani per i quali i cambiamenti economici avevano comportato elevati costi sociali. L'indagine rilevò, in quel periodo, la completa assenza di società operaie nel sud Italia.
Le SOMS non hanno avuto solo una matrice laica. Nel luglio 1854 nasce a Genova la prima Società operaia cattolica italiana, la Compagnia di San Giovanni Battista. Il mondo clericale più aperto e illuminato si era convinto della necessità di mettersi al passo con i tempi, riunendo i lavoratori cattolici in proprie Società di mutuo soccorso. Questa prima società cattolica aveva visto predisporre il proprio statuto dai sacerdoti, Luigi Radif e Luigi Sturla con l'approvazione dell'Arcivescovo. E lo statuto di 48 articoli sarà il testo base per le successive associazioni operaie cattoliche. Il primo articolo affermava "Fine della Compagnia è di soccorrere le famiglie della classe operaia, non solamente per sollevare le infermità corporali, ma per rendere anche morigerati i membri, solleciti nell'adempimento dei loro doveri verso Dio e verso il prossimo". Le differenti specifiche tra le Società cattoliche rispetto a quelle laiche risultano evidenti sul piano della prospettiva sociale. Nelle prime è assente ogni accenno al progresso sociale ed economico.
In Liguria (a Sampierdarena-Genova, per esempio), la progressiva industrializzazione e gli sviluppi della società operaia incontrarono l'associazione mazziniana, solidale e fraterna con il mondo del lavoro, che dette vita nel 1851 alla Società Generali Operai e altre associazioni di mestiere (falegnami, carpentieri; indoratori, muratori, calzolai, parrucchieri). Le società di mutuo soccorso che si rifecero agli ideali mazziniani assunsero in modo molto più chiaro di altre un atteggiamento fuori da ogni compromesso nei confronti dei gravi problemi politici e sociali dell'epoca e videro nell'unità e nell'indipendenza le premesse necessarie per risolvere in modo concreto ed efficace il futuro assetto sociale. Se, infatti, le società nate nel Piemonte moderato e sabaudo erano, nella quasi totalità, emanazioni paternalistiche, sorte con l'appoggio delle autorità o di esponenti borghesi estranei al mondo del lavoro e ad ogni rivendicazione politica, quelle liguri manifestarono subito un chiaro interesse per la politica del Governo e rappresentarono una forza per l'organizzazione democratica e per tutti coloro che vedevano nell'iniziativa popolare la soluzione del problema nazionale.
Caratteristiche in larga parte comuni alle 115 società operaie presenti nel Piemonte sabaudo alla vigilia dell'unificazione e alle rimanenti 91, concentrate nelle regioni settentrionali della penisola (in Lombardia, Liguria, Emilia e Veneto) erano la localizzazione urbana, la forte coesione professionale e la neutralità politica. Queste caratteristiche mutarono dopo l'unificazione. I moti risorgimentali aprirono infatti una frattura tra le società operaie che si ispirarono ai principi solidaristici e democratici di Mazzini a quelle che aderirono al programma dei moderati, guidate e in parte sostenute finanziariamente da vecchi e nuovi filantropi, esponenti dei ceti nobiliari e della grande borghesia terriera e finanziaria, interessati ad un controllo paternalistico delle classi lavoratrici. Questo si complicò con la costituzione a Londra nel 1864 della prima associazione internazionale dei lavoratori sotto l'influenza di Marx . Nel 1864 venne pubblicata ad opera del Ministero dell'agricoltura, industria e commercio la prima statistica postunitaria delle società di mutuo soccorso aggiornata al 31 dicembre 1862. L'indagine rilevò la presenza di 443 società operaie concentrate in Piemonte, Liguria, Emilia, Lombardia al nord, Toscana Umbria al centro. Le 408 società che fornirono al Ministero il numero degli aderenti contarono 111.608 soci effettivi. Il Comune di Milano contò 38 società operaie alle quali aderivano 9923 soci, Torino 13, con 14.864 associati. Inoltre, 267 società erano aperte a tutte le professioni e i mestieri, mentre 155 erano costituite sulla base di un'unica professione. La statistica evidenziò la maggior diffusione nelle regioni dove più elevata era la densità di centri; urbani. L'intensa diffusione di tali società nelle grandi città del Nord rifletteva la peculiare condizione dei larghi strati operai e artigiani per i quali i cambiamenti economici avevano comportato elevati costi sociali. L'indagine rilevò, in quel periodo, la completa assenza di società operaie nel sud Italia.
Le SOMS non hanno avuto solo una matrice laica. Nel luglio 1854 nasce a Genova la prima Società operaia cattolica italiana, la Compagnia di San Giovanni Battista. Il mondo clericale più aperto e illuminato si era convinto della necessità di mettersi al passo con i tempi, riunendo i lavoratori cattolici in proprie Società di mutuo soccorso. Questa prima società cattolica aveva visto predisporre il proprio statuto dai sacerdoti, Luigi Radif e Luigi Sturla con l'approvazione dell'Arcivescovo. E lo statuto di 48 articoli sarà il testo base per le successive associazioni operaie cattoliche. Il primo articolo affermava "Fine della Compagnia è di soccorrere le famiglie della classe operaia, non solamente per sollevare le infermità corporali, ma per rendere anche morigerati i membri, solleciti nell'adempimento dei loro doveri verso Dio e verso il prossimo". Le differenti specifiche tra le Società cattoliche rispetto a quelle laiche risultano evidenti sul piano della prospettiva sociale. Nelle prime è assente ogni accenno al progresso sociale ed economico.
Vicende storiche della Società di Mutuo Soccorso di Cavallemaggiore
La società di Mutuo Soccorso di Cavallermaggiore, nata nel 1872, dopo aver svolto per decenni a cavallo dei due secoli una preziosissima funzione sociale a favore dei cittadini, in maggioranza operai ed agricoltori, garantendo agli iscritti, in assenza di uno stato sociale, prestazioni strettamente mutualistiche quali l'assistenza medica, il sussidio in caso di malattia e, quando le risorse lo permettevano, la pensione di vecchiaia o cronicismo e altri strumenti tesi ad elevare il livello culturale e le condizioni sociali quali biblioteche, scuole serali e magazzino alimentare, incomincia a perdere d'importanza con il sorgere delle mutue aziendali nel periodo tra le due grandi guerre e il suo declino continua alla fine della seconda guerra mondiale, quando si formano le mutue di categoria e tocca il culmine quando, alla fine degli anni sessanta, si istituisce il Servizio Sanitario Nazionale.
Come tutte le altre società di Mutuo Soccorso, anche quella di Cavallermaggiore riduce la propria attività alla ricreazione e vive di ricordi. Ma, a partire dagli inizi degli anni Novanta allorché, imprevedibilmente, lo stato sociale va in crisi e, per vari motivi, non riesce più a garantire tutto a tutti, lo Stato, sulla base del preoccupante elemento di novità, rifacendosi all'art. 45 della Costituzione, ad una raccomandazione del Parlamento Europeo e sull'esempio di quanto già praticato in altri Stati, riscopre il valore delle mutue integrative e legifera per attuare un incontro tra pubblico e privato autogestito, dove l'ente pubblico assicura l'assistenza di base e il cittadino può scegliere privatamente le assistenze integrative che più si adattano alle sue necessità. E' in questo quadro che, dopo anni di riflessioni l'8 maggio 2007, i soci hanno deciso di adottare delle deliberazioni atte a dare vita ad un ente morale completamente rinnovato, retto e disciplinato dai principi della mutualità senza fini di speculazione e di lucro, teso a perseguire la solidarietà di mutuo soccorso in tutte le forme e le modalità consentite dalle leggi in vigore, da lasciare alle future generazioni come un'opportunità per garantirsi una forma di mutualità integrativa volontaria, praticando nel contempo la solidarietà nei confronti dei soci, ed alla Città di Cavallermaggiore come preziosa risorsa aggiuntiva. In un contesto sociale completamente diverso rispetto a quello dei tempi della fondazione, assume particolare significato il cambio della denominazione voluto dall'assemblea per superare l'ambito ristretto, operaio ed agricolo, in cui l'originale statuto relegava l'attività dell'ente.
Con la nuova denominazione "Società di Mutuo Soccorso di Cavallermaggiore", infatti, l'ente si è aperto a tutta la cittadinanza proponendosi a tutti come un'opportunità per affermare i principi ed i sentimenti della solidarietà in un mondo in cui la stratificazione sociale, non più verticalizzata, molto spesso si manifesta in forma trasversale, soprattutto con riferimento ai nuovi bisogni che i cittadini e le famiglie devono soddisfare. Acquisita la sua nuova veste giuridica, l'ente si è immediatamente attivato per elaborare un programma volto a creare le condizioni per il graduale rilancio del Mutuo Soccorso. Tale programma, inevitabilmente, non poteva non prevedere il recupero e la valorizzazione dello storico immobile, sede della società, per renderlo a norma ed agibile sotto il profilo della salute e della sicurezza. Elaborato il progetto ed ottenute tutte le autorizzazioni dalle autorità competenti, compreso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Società ha avviato i lavori prevedendo, in un primo tempo, la ristrutturazione e la messa a norma dei locali del piano rialzato e del piano seminterrato per potervi insediare, un'attività di bar e ristorante con annessa tavernetta per riunioni, degustazioni e vineria, per poterne ottenere una rendita economica da utilizzare per fini sociali, e di realizzare, in tempi successivi, due minialloggi al primo piano, anch'essi a norma, da destinare a nuclei familiari in difficoltà. Come sempre, anche in questo caso l'impresa più ardua da affrontare per gli amministratori è stata il reperimento delle risorse. Va detto che la Regione Piemonte, apprezzando il progetto e le sue finalità sociali, ci ha sostenuti, assegnando alla società un cofinanziamento in termini di contributo ai sensi della legge R.24/90 per la tutela e la promozione del patrimonio e dei valori storici, sociali e culturali delle Società di Mutuo Soccorso, così come va detto che la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo ha sostenuto il progetto con un cospiquo contributo. Da parte sua la Società, non potendosi esimere dall'obbligo morale di ricercare ogni strada percorribile per presentare e promuovere il progetto e le sue finalità nell'ambito del territorio, anche al fine di arrivare a tutti i potenziali estimatori e sostenitori, e nella considerazione che l'iniziativa, pur facendo capo ad un soggetto giuridico che per propria missione persegue la mutualità integrativa su base volontaria a favore dei soci, di fatto, determina una ricaduta sulla società civile e sul territorio configurandosi come sinergia fra pubblico e privato che rimanda al principio di sussidiarietà, ha fatto il massimo sforzo per accollarsi il gravoso onere ricorrendo a finanziamenti bancari e al contributo diretto dei soci.
Come tutte le altre società di Mutuo Soccorso, anche quella di Cavallermaggiore riduce la propria attività alla ricreazione e vive di ricordi. Ma, a partire dagli inizi degli anni Novanta allorché, imprevedibilmente, lo stato sociale va in crisi e, per vari motivi, non riesce più a garantire tutto a tutti, lo Stato, sulla base del preoccupante elemento di novità, rifacendosi all'art. 45 della Costituzione, ad una raccomandazione del Parlamento Europeo e sull'esempio di quanto già praticato in altri Stati, riscopre il valore delle mutue integrative e legifera per attuare un incontro tra pubblico e privato autogestito, dove l'ente pubblico assicura l'assistenza di base e il cittadino può scegliere privatamente le assistenze integrative che più si adattano alle sue necessità. E' in questo quadro che, dopo anni di riflessioni l'8 maggio 2007, i soci hanno deciso di adottare delle deliberazioni atte a dare vita ad un ente morale completamente rinnovato, retto e disciplinato dai principi della mutualità senza fini di speculazione e di lucro, teso a perseguire la solidarietà di mutuo soccorso in tutte le forme e le modalità consentite dalle leggi in vigore, da lasciare alle future generazioni come un'opportunità per garantirsi una forma di mutualità integrativa volontaria, praticando nel contempo la solidarietà nei confronti dei soci, ed alla Città di Cavallermaggiore come preziosa risorsa aggiuntiva. In un contesto sociale completamente diverso rispetto a quello dei tempi della fondazione, assume particolare significato il cambio della denominazione voluto dall'assemblea per superare l'ambito ristretto, operaio ed agricolo, in cui l'originale statuto relegava l'attività dell'ente.
Con la nuova denominazione "Società di Mutuo Soccorso di Cavallermaggiore", infatti, l'ente si è aperto a tutta la cittadinanza proponendosi a tutti come un'opportunità per affermare i principi ed i sentimenti della solidarietà in un mondo in cui la stratificazione sociale, non più verticalizzata, molto spesso si manifesta in forma trasversale, soprattutto con riferimento ai nuovi bisogni che i cittadini e le famiglie devono soddisfare. Acquisita la sua nuova veste giuridica, l'ente si è immediatamente attivato per elaborare un programma volto a creare le condizioni per il graduale rilancio del Mutuo Soccorso. Tale programma, inevitabilmente, non poteva non prevedere il recupero e la valorizzazione dello storico immobile, sede della società, per renderlo a norma ed agibile sotto il profilo della salute e della sicurezza. Elaborato il progetto ed ottenute tutte le autorizzazioni dalle autorità competenti, compreso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Società ha avviato i lavori prevedendo, in un primo tempo, la ristrutturazione e la messa a norma dei locali del piano rialzato e del piano seminterrato per potervi insediare, un'attività di bar e ristorante con annessa tavernetta per riunioni, degustazioni e vineria, per poterne ottenere una rendita economica da utilizzare per fini sociali, e di realizzare, in tempi successivi, due minialloggi al primo piano, anch'essi a norma, da destinare a nuclei familiari in difficoltà. Come sempre, anche in questo caso l'impresa più ardua da affrontare per gli amministratori è stata il reperimento delle risorse. Va detto che la Regione Piemonte, apprezzando il progetto e le sue finalità sociali, ci ha sostenuti, assegnando alla società un cofinanziamento in termini di contributo ai sensi della legge R.24/90 per la tutela e la promozione del patrimonio e dei valori storici, sociali e culturali delle Società di Mutuo Soccorso, così come va detto che la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo ha sostenuto il progetto con un cospiquo contributo. Da parte sua la Società, non potendosi esimere dall'obbligo morale di ricercare ogni strada percorribile per presentare e promuovere il progetto e le sue finalità nell'ambito del territorio, anche al fine di arrivare a tutti i potenziali estimatori e sostenitori, e nella considerazione che l'iniziativa, pur facendo capo ad un soggetto giuridico che per propria missione persegue la mutualità integrativa su base volontaria a favore dei soci, di fatto, determina una ricaduta sulla società civile e sul territorio configurandosi come sinergia fra pubblico e privato che rimanda al principio di sussidiarietà, ha fatto il massimo sforzo per accollarsi il gravoso onere ricorrendo a finanziamenti bancari e al contributo diretto dei soci.